La Monkey Forest a Bali
La nostra crociera da Brisbane a Singapore, tra le diverse tappe in Australia, Indonesia e Timor Est, ne comprendeva una anche nella splendida e fascinosa isola di Bali, durante la quale abbiamo partecipato ad un’escursione organizzata direttamente dalla P&O che prevedeva tra le altre visite anche quella alla Monkey Forest, la foresta delle scimmie, ad Ubud.
È sicuramente la tappa che più ci entusiasma, ricordando anche la visita effettuata oltre 10 anni prima, quando Samuele aveva 4 anni. Seppur il luogo è molto frequentato dai turisti, una volta entrati nel santuario, vasto circa 12 ettari, ci troviamo di fronte un ambiente molto selvaggio ma curato, ricco di vegetazione, statue e piccoli templi induisti dove a farla da padrone sono però solamente centinaia di scimmie!
Si tratta dei macachi dalla coda lunga, una razza molto diffusa nel sud-est asiatico, i cui esemplari sono soliti vivere in gruppi con più maschi e femmine adulte, finanche a 60 individui. All’interno del gruppo, molto territoriale, vi è una rigida gerarchia che a volte viene definita anche tramite violenti scontri tra gli stessi componenti del medesimo sesso.
Facciamo pochi passi e veniamo avvicinati da una sorta di “guida” che, in cambio di qualche dollaro, ci tiene compagnia per larga parte della nostra visita, consigliandoci sul comportamento da tenere con i simpatici primati, dandoci qualche nocciolina per far avvicinare gli animali e soprattutto rendendosi disponibile a scattarci numerose foto.
Inutile dire che ci divertiamo moltissimo: le scimmie ci salgono dappertutto, sulla testa, sulle braccia, lungo il corpo, appena ci mettiamo seduti anche sulle gambe. Non sono affatto intimorite (semmai lo siamo noi…) e non cercano altro che del facile cibo che consumano restando aggrappati ai nostri arti.
Ci viene raccomandato di evitare di toccarle con le mani e soprattutto di prenderle senza la loro volontà. In questi casi è molto facile che al malcapitato turista sia recapitato un doloroso (ed anche rischioso) morso, con tutte le conseguenze del caso.
Altro avvertimento che ci viene effettuato è quello di evitare di portare collanine, orecchini, occhiali o altri oggetti che possano attirare l’attenzione dei curiosi primati. I tentativi di furto, ci viene detto dalla guida, sono all’ordine del giorno e ritornare in possesso degli oggetti sottratti non è poi così semplice.
Quello che durante la nostra visita passa in secondo piano è l’aspetto culturale e religioso del santuario, al cui interno ci sono tre tempi: il Dalem Agung Padangtegal, quello principale, utilizzato dalla popolazione locale per adorare il dio Hyang Widhi, personificazione di Shiva; il Pura Beji, dedicato alla venerazione della dea Gangga ed in ultimo il tempio di Prajapati, in onore dell’omonimo dio, utilizzato per la conservazione delle salme dei defunti prima della cremazione.
Nel poco tempo che ci rimane, dopo esserci divertiti con i macachi, riusciamo solo a dare un veloce sguardo al Dalem Agung Temple, di discreto effetto soprattutto per il contesto nel quale è situato piuttosto che per la struttura in se per se, quindi siamo richiamati a gran voce dalla nostra guida per ritornare sul pullman e riprendere il giro turistico di questa magnifica isola indonesiana.