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Anna Frank ad Amsterdam: una memoria che parla ancora!

Camminare lungo Prinsengracht, tra canali e biciclette, ha un sapore diverso quando si sa cosa ci aspetta al civico 263. La casa museo di Anna Frank non è solo una tappa turistica, ma un’esperienza che lascia un segno profondo. Entrando, il rumore della città si spegne. I gradini si fanno stretti, il passaggio si abbassa, e ci si ritrova nel retro della palazzina, dove Otto Frank nascose la sua famiglia e altri quattro perseguitati per più di due anni.

All’inetrno del Museo

Il rifugio segreto, celato dietro una libreria mobile, ci racconta una storia di paura, speranza e resistenza. I muri sono spogli: Otto volle lasciarli così, perché il vuoto parlasse da sé. Sul vetro si leggono le parole del diario di Anna, scritto tra il 1942 e il 1944, con una lucidità che sorprende. “Voglio continuare a vivere anche dopo la mia morte.” Lo ha fatto.

La visita tocca l’animo. Una mappa con puntine segnala dove furono deportati milioni di ebrei. Anna, Margot, Edith, Peter… nomi che nel silenzio diventano familiari. Eppure, in mezzo al buio, c’è luce. Anna ritagliava immagini da riviste, le appendeva accanto al suo letto: piccoli lembi di normalità.

La Casa Museo e la fila di gente per la visita

Curiosità? La casa fu salvata dalla demolizione grazie a un gruppo di cittadini che nel 1957 fondò la Anne Frank Stichting. E il diario, rifiutato inizialmente da diversi editori, fu pubblicato per la prima volta nel 1947: oggi tradotto in oltre 70 lingue.

Usciamo con la speranza che un giorno Samuele, quando sarà più grande, possa ripensare a questa visita come a un tassello utile per capire il valore della memoria.